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La scelta di Sofia

di Francesco Martino

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Per Boyko Sinabov l'allevamento è più che un mestiere. È una scelta di vita. Quarant'anni, laurea in Giurisprudenza. Durante la transizione, mentre tutti scappavano da una Bulgaria in preda alle convulsioni socioeconomiche del passaggio dal comunismo alla democrazia, Sinabov ha deciso di restare. A legarlo alla sua terra - i monti Rodopi, lembo estremo del continente europeo al confine con Grecia e Turchia - è un sogno: continuare la tradizione dell'allevamento ovino, ereditata dal padre, e metterla al passo coi tempi.
Sinabov guarda lontano. Sa che l'ingresso della Bulgaria nell'Unione europea, divenuto realtà il 1° gennaio 2007, significa supporto all'agricoltura, fondi, politiche di coesione e un mercato di 490 milioni di consumatori. L'occasione per rendere il sogno realtà. A due anni da quella data, però, le cose sembrano essere andate diver-samente. «Dire che va male è poco. Non si tratta solo di rinunciare ai piani di ammodernamento, qui si rischia di fallire», racconta Sinabov nella sua fattoria, poco fuori del villaggio di Balabanovo, quaranta famiglie che ruotano intorno a pecore e agnelli. Parla sbracciandosi energicamente nell'aria pungente di gennaio avanzato, come per allontanare un pensiero che lo turba, che lo fa star male.
Intorno i lunghi ovili di vecchi mattoni imbiancati, gli stessi che Sinabov vorrebbe trasformare con i contributi comunitari, fervono di vita nuova. È la stagione delle na-scite, il momento più importante del ciclo annuale della fattoria. In due settimane sono venuti alla luce 460 agnelli, e altri ne nasceranno. Al pensiero il volto energico dell'allevatore sembra ritrovare vigore. Nella sua voce permane però una nota di amarezza. «Non riceviamo ancora i sussidi per capo di bestiame. Il perché è semplice: il sistema di identificazione non è mai partito. Di fatto nessuno sa quanti animali ci siano in Bulgaria. La cosa è voluta, perché permette ai disonesti di gonfiare i numeri col consenso di funzionari conniventi. E alla fine siamo noi a rimetterci».
Il sogno europeo di Sinabov, e di molti altri bulgari, si è scontrato presto con una realtà complessa e difficile, condita da poche soddisfazioni, molti rimpianti e qualche pa-radosso. Gli agnelli dei Rodopi, ad esempio, esportati in Italia (soprattutto per Pasqua) già ai tempi del regime, oggi con lo spazio comune europeo sono fuori mercato, per-ché i rumeni, che ai sussidi hanno accesso, fanno prezzi insostenibili per gli allevatori bulgari. Sul banco degli imputati siede l'intero sistema politico e amministrativo di Sofia. La Bulgaria si è guadagnata in fretta la poco invidiabile fama di Paese più corrotto dell'Unione (oltre che di più povero). Molti analisti, poi, hanno messo in evidenza i legami tra parte dell'establishment di Sofia e i gruppi criminali cresciuti negli anni caotici della transizione.
L'Unione, già provata dalla bocciatura della Costituzione e con evidenti sintomi di "fatica da allargamento", decise di ammettere la Bulgaria, continuando a monitorare da vicino i progressi nella lotta alla corruzione e alla criminalità e mantenendo un alto grado di controllo sui fondi erogati. Nonostante queste misure eccezionali (riservate anche alla vicina Romania) il tono del dialogo tra Bruxelles e Sofia si è fatto sempre più teso, per culminare nella seconda metà del 2008 nello stop a fondi preadesione per centi-naia di milioni di euro, anche in seguito alle numerose irregolarità portate alla luce dall'Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf).
Bruxelles ha deciso di passare dalla politica della carota a quella del bastone. «Arrestate i corrotti e i fondi ripartiranno» è il messaggio, neppure troppo velato, che sem-bra emergere nelle direttive inviate dal centro dell'Unione alla sua nuova periferia orientale.
È ancora presto per vedere gli effetti di questa sterzata: valutare i risultati della lotta alla corruzione, fenomeno poco trasparente per definizione, è un'operazione tutt'altro che agevole. La maggior parte dei fondi, poi, viene persa dalla Bulgaria non tanto per le inchieste dell'Olaf quanto per l'incapacità dell'amministrazione di proporre, gestire e implementare progetti europei. I sussidi per la modernizzazione delle strutture agricole, ad esempio, fino a oggi non sono stati pagati perché i regolamenti attuativi sono stati approvati da Sofia solo nell'aprile 2008. Anche in questo caso, una politica di severità potrebbe rivelarsi poco efficace, almeno nel breve periodo. Intanto le sonore bocciature che arrivano da Bruxelles rafforzano nei cittadini bulgari l'ormai cronica sfiducia accumulata verso le proprie istituzioni. L'insoddisfazione sociale si esprime sempre più spes-so in manifestazioni di piazza e proteste, alimentate negli ultimi tempi dalle prime avvisaglie della crisi globale.
«Durante il regime ci dicevano "verrà il comunismo", durante la transizione "entreremo in Europa". Ora però l'Unione europea è arrivata, la gente vuole la sua fetta di normalità, e subito», spiega lo scrittore Georgi Gospodinov, uno dei giovani autori bulgari più apprezzati, tradotto anche in Italia. Mentre parla, sul suo volto si fa lentamente strada un sorriso velato d'ironia, il sorriso disincantato di chi ha ascoltato molti proclami di cambiamento, e forse qualche promessa di troppo.
Nelle piazze, lo scontento e la sfiducia verso i propri governanti sfociano nel motto "meno Bulgaria, più Europa", nella visione piuttosto semplicistica dell'Unione come deus ex machina, in grado di sostituirsi alle strutture corrotte e incapaci dell'amministrazione nazionale. «Stiamo perdendo gli anni migliori per i sussidi, per colpa di chi ruba contando sull'impunità garantita da un sistema giudiziario connivente», denuncia Radoslav Hristov, presidente dell'Associazione nazionale agricoltori. «Chi ruba i fondi euro-pei dovrebbe essere giudicato all'Aia, non in Bulgaria. Le cose, allora, cambierebbero di sicuro», dice convinto nel suo ufficio di Stara Zagora, una delle città economicamente più vivaci del Paese, anche grazie all'agricoltura sviluppata sulla fertile pianura di Tracia.
  CONTINUA ...»

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